Lo scorso 21 ottobre, dopo una pausa di circa quattro anni, sono tornati gli Arctic Monkeys con il loro “The Car”, settimo album in studio del quartetto, a suggello di un’attività ventennale. E sì perché gli Arctic Monkeys si costituirono proprio nel 2002, in quel di High Green, Sheffield, quando i due vicini di casa Alexander Turner e James Cook, attuali assi portanti della band britannica, diedero vita al gruppo, per poi integrarlo sino all’attuale composizione. Va subito detto che questo disco è meraviglioso, esaltando ulteriormente le doti vocali e la versatilità di Alexander Turner, che a detta di molti osservatori fa un vero e proprio salto di qualità. In diversi punti la voce di Turner s’intona in “modalità Bowie” e questo non stona per nulla con gli arrangiamenti di diversi pezzi, dominati da piano, tastiere e synth. Questo album richiama un po’ il precedente del 2018, “Tranquility Base Hotel & Casino”, per gli esperimenti psichedelici come per il carattere glamour. Non è un caso se gli Arctic Monkeys si ispirino fortemente, in questo album, a David Bowie. La pubblicazione dell’album è stata preceduta da tre singoli, poi ricompresi nel disco: “There’d Better Be a Mirrorball”, “Body Paint” e “I Ain’t Quite Where I Think I Am”, pubblicati tra la fine di agosto e la metà di ottobre.
L’impostazione stilistica.
Oltre alla predominanza delle tastiere, in “The Car” sono rilevanti anche gli archi perché si tratta di un album di “pop orchestrale” che punta sulla raffinatezza e su sonorità calde, che mettono in risalto l’approccio vocale di Alex Turner. Anche quando gli altri membri della band, con la complicità dei vari ospiti, producono “sconfinamenti” in territori funk (come per esempio in “I Ain’t Quite Where I Think I Am”) i brani non guardano alla pista da ballo ma mantengono un’eleganza esigente. Tutti i brani sono stati scritti da Turner, che indugia anche, in più occasioni, nel falsetto. Siamo, in parole povere, di fronte ad un lavoro maturo ed elegante, lontano anni luce dai primi album, che ondeggiavano tra post-punk ed indie rock. Qui, con il pianoforte che predomina sulle chitarre, incredibile a pensarci solo qualche anno fa, è evidente che la cifra musicale cambia sensibilmente, accomodandosi appunto nello psichedelico e nel glam rock ed in alcuni tratti anche nel lounge, come nella bellissima “There’d Better Be a Mirrorball”, che proponiamo in video. Questi ragazzi hanno comunque dimostrato capacità di reinventarsi in ogni occasione, in ogni disco, a conferma del sincretismo e delle abilità tecniche che si raffinano negli anni. La band è formata da Alex Turner, Jamie Cook, Matt Helders e Nick O’Malley.
Se ne consigliano vivamente l’acquisto e l’ascolto.

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